Durante la presentazione di un libro scritto da Vito Cozzoli, il presidente dell'Inter, Giuseppe Marotta, ha sollevato una questione di rilevanza nazionale, che da anni attanaglia il sistema sportivo del nostro paese: le criticità del calcio italiano. Le sue dichiarazioni sono state forti e senza fronzoli, puntando il dito contro un sistema che pare aver perso la sua capacità di formare nuovi talenti.
Marotta è chiaro e diretto: «Come Italia, attualmente, siamo carenti. Non sto accusando nessuno in particolare, ma il sistema scolastico non ha contribuito a inserire lo sport nei bambini in modo efficace. Oggi, il futuro del calcio dipende enormemente dalle società private. In passato, queste si basavano sul mecenatismo, una forma di sostegno ormai scomparsa».
Il presidente entra poi nel dettaglio, analizzando le differenze tra i campioni di una volta e quelli di oggi, menzionando Silvio Baldini e la vittoria nella finale playoff di Serie C contro il Pescara. Baldini elencava i campioni di Spagna '82 come esempi da seguire. Tuttavia, Marotta osserva che, sebbene la parola campione sia la stessa, la sostanza, oggi, è cambiata radicalmente. Le fondamenta del reclutamento, secondo lui, si sono ridotte drasticamente, e gli allenatori della gioventù sono maggiormente concentrati sui risultati piuttosto che sulla crescita individuale dei ragazzi.
Un'altra grave mancanza evidenziata da Marotta è quella delle infrastrutture. «Anche negli oratori, oggi, si pagano tariffe; soffriamo la mancanza di centri federali come quelli che, nel tennis, fungono da punti nevralgici per lo sviluppo dei migliori talenti». Cita team di eccellenza quali Inter, Milan, Juventus e Atalanta, sottolineando la necessità di luoghi dove i talenti possano incontrarsi e svilupparsi insieme.
Marotta conclude il suo intervento con una riflessione pungente: «Abbiamo i giocatori e gli allenatori migliori del mondo, ma forse stiamo soffrendo una carenza motivazionale più che tecnica. Mi sono chiesto perché l'Italia abbia fatto una brutta figura, peggiore forse di quella della mia Inter nella finale di Champions League contro il PSG, quando perdemmo 5-0. Forse la risposta sta nel nostro modo di pensare e nel nostro atteggiamento, più che nei nomi e nei ruoli dei singoli.
Le sue parole non sono solamente uno sfogo, ma un invito a tutto il panorama sportivo italiano per riflettere seriamente su un possibile cambiamento di rotta. Potrebbe essere il momento giusto per ridefinire le priorità, investire in talenti giovani e creare strutture che possano accompagnare la crescita dei nuovi campioni, restituendo al calcio italiano il prestigio di un tempo.