Giuseppe Marotta, figura apicale del calcio italiano, si è aperto in un'ampia disamina della sua carriera, spaziando tra passato, presente e futuro, durante un incontro con gli studenti del master in Management dello Sport presso la Rcs Academy Business School. L'attuale presidente dell'Inter ha toccato molteplici temi, dal momento della squadra alla scelta di Cristian Chivu come allenatore, senza tralasciare aneddoti e riflessioni sul suo percorso professionale.
"Mi meraviglio che le persone si siano sorprese della bravura di Cristian", ha esordito Marotta, difendendo la scelta di affidare la panchina a Chivu. "L’abbiamo scelto perché rappresenta valori importanti, c’è stato il coraggio di andare controcorrente anche a livello mediatico. Qualcuno addirittura evocava Mourinho, che con tutto il rispetto... Se non avessi avuto coraggio mi sarei pentito". Questa dichiarazione rivela la determinazione di Marotta nel puntare su profili che incarnano i valori del club, anche a costo di scelte non convenzionali.
Riguardo al panorama calcistico attuale, Marotta ha poi commentato: "L'equazione non è più 'se spendo, vinco', ma va moltiplicata la motivazione per la competenza". Un riferimento implicito alle strategie del Psg, che ha subito una sconfitta in finale di Champions League contro l'Inter. Marotta sottolinea come il club nerazzurro stia cambiando modello, puntando su giovani talenti piuttosto che su nomi altisonanti.
Il racconto di Marotta si è poi spostato sul suo passato, a partire dagli esordi: "Ricordo che nel 1983 il presidente dell'Inter dell'epoca, Pellegrini, mi chiese di venire come junior manager. Lui però amava occuparsi direttamente della gestione, quindi sono certo che se avessi accettato oggi non sarei presidente". Un aneddoto che evidenzia come le scelte, anche quelle apparentemente minori, possano influenzare un'intera carriera.
Marotta ha poi individuato un momento chiave del suo percorso: "Il mio culmine personale l’ho raggiunto alla Juve: avevo quasi 60 anni e una padronanza massima delle mie capacità professionali". Il passaggio dalla Sampdoria alla Juventus ha rappresentato, a suo dire, l'apice della sua crescita professionale.
Gli inizi di Marotta sono legati alla sua città natale, Varese: "Partii da Varese grazie a una circostanza favorevole: abitavo vicino allo stadio. Mi stimolò la passione. Avevo 6-7 anni e assistevo agli allenamenti del Varese che all'epoca giocava in Serie A. Ero la mascotte. Così imparai la negoziazione, parlai con il magazziniere per avere una tuta in cambio di alcuni lavoretti come pulire le scarpe, sgonfiare i palloni, aiutare a lavare gli indumenti. A 18 anni conclusi il liceo classico e ottenni il primo contratto da dirigente, abbandonando un piccolo percorso perché ora ho ricevuto dalla Bicocca una laurea honoris causa, ma non ho potuto laurearmi perché iniziai a lavorare presto. A 19 anni ero direttore del settore giovanile". Un racconto che testimonia la sua passione per il calcio e la sua precoce vocazione dirigenziale.
Marotta ha poi descritto l'evoluzione del mondo del calcio: "Era uno sport molto diverso da quello di oggi, in cui ci sono società quotate in borsa. All’epoca erano semplici associazioni sportive con a capo il mecenate, l’imprenditore locale. A Varese c'era Giovanni Borghi, della Ignis elettrodomestici, che per un debito di riconoscenza verso la collettività restituì qualcosa prendendosi a cuore lo sport cittadino". Un'epoca in cui il calcio era legato al territorio e alla figura del mecenate, un modello ormai superato.
"Lo sport oggi senza sostenibilità non avrebbe senso di esistere, il modello del mecenatismo non esiste più", ha aggiunto Marotta. "Poi le società sono diventate Srl, con concetti giuridici diversi. Codice penale, civile e di giustizia sportiva a cui rendere conto. Anche l’organigramma è cambiato, con parvenze di società "classiche" e non più sportive. Sono entrate competenze industriali, finanziarie. Prima l’obiettivo era il traguardo sportivo costasse quel che costasse, oggi la sostenibilità porta a rispettare prima gli equilibri finanziari". Un'analisi lucida del calcio moderno, sempre più orientato alla sostenibilità economica.
Non manca un riferimento a figure importanti del mondo imprenditoriale: "Io ho appreso molto da Sergio Marchionne, ad di Exor, anche se con la Juventus non c'entrava niente. Lui era fautore della politica del cambiamento. Il leader è coraggioso, perseverante, deve ascoltare".
Dopo l'esperienza a Varese, Marotta ha toccato diverse piazze: "Dopo Varese le tappe a Monza, Como, Ravenna, Venezia, Atalanta, fino allo sbarco alla Sampdoria nel 2002: Ero attratto dalla possibilità di riportare la Samp dalla B in alto. Così accettai la proposta del dottor Garrone con molto coraggio, scendendo di categoria. L’allenatore era un mio carissimo amico, con cui ero stato a Venezia (Gianfranco Bellotto, ndr). Arrivai, ci salutammo e gli dissi che non intendevo continuare con lui. Poi lo aiutai a trovare squadra".
Infine, una riflessione su San Siro: "Per i vecchi romantici, pensare all’abbattimento di San Siro porta amarezza e nostalgia. Io stesso, per la prima volta, ci sono entrato nel 1966… È stato un contenitore di enormi emozioni. Ma così non si tiene conto dell’innovazione, che passa anche dal concetto di modernità. Bisogna rispettare i criteri che devono essere presenti all’interno di uno stadio: sicurezza, che non c’è, accoglienza, per poter stare allo stadio tutto il giorno con intrattenimento di ogni genere, e senso di appartenenza. Avere una propria casa. Non era immaginabile una ristrutturazione, e così si è arrivati all’abbattimento. Bisogna farlo per forza. Lo stadio nuovo porta benefici diretti e indiretti, non avere più una cattedrale nel deserto ma un punto di riferimento anche in settimana, dare vita ad attività sociali. Noi oggi siamo fanalini di coda. Incassiamo 80 milioni l’anno dai matchday, l’obiettivo del Real Madrid è superare mezzo miliardo...".
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