Cloudflare ha intensificato significativamente la sua azione di contrasto alla pirateria online, in particolare nei confronti dello streaming illegale. Nel primo semestre del 2025, la società ha registrato un'impennata senza precedenti nelle azioni di "takedown", ovvero la rimozione o la disabilitazione di contenuti online in risposta a segnalazioni di violazione del copyright. L'ultimo Transparency Report di Cloudflare rivela un aumento del 3.800% degli interventi rispetto ai sei mesi precedenti, un dato che testimonia un cambiamento radicale nelle strategie di contrasto allo streaming sportivo non autorizzato. Nello stesso periodo, sono stati chiusi oltre 20.000 account di storage collegati a queste attività illecite.
Con un'infrastruttura che supporta quasi il 20% del web globale, Cloudflare si trova in una posizione cruciale nel dibattito sulla pirateria online. I suoi servizi sono utilizzati da un'ampia gamma di clienti, dalle grandi aziende (incluse molte Fortune 500) a siti e piattaforme coinvolti nella diffusione di contenuti illegali. Per anni, Cloudflare ha adottato una politica di neutralità in qualità di CDN, limitandosi a inoltrare le segnalazioni di violazione ai provider di hosting. Tuttavia, l'approccio è cambiato per i servizi di hosting gestiti direttamente, dove le azioni di rimozione sono aumentate progressivamente, culminando nell'accelerazione del 2025.
Il report evidenzia che, nei primi sei mesi del 2025, Cloudflare ha ricevuto 124.872 segnalazioni di violazioni di copyright relative a contenuti ospitati sulla propria infrastruttura. Di queste, 54.357 hanno portato a interventi concreti, come la disabilitazione o la rimozione dei materiali segnalati. Nel semestre precedente, le azioni effettive si erano fermate a sole 1.394. Analizzando l'andamento storico, si osserva una crescita graduale fino al 2024, seguita da un'impennata verticale: 252 interventi nel primo semestre del 2023, 1.078 nella seconda metà dello stesso anno, 1.046 nel primo semestre del 2024 e 1.394 nel secondo. I dati del 2025 segnano quindi una netta discontinuità rispetto al passato.
Cloudflare precisa che questo incremento non è dovuto esclusivamente all'espansione dei servizi di hosting, ma soprattutto a una strategia più proattiva nei confronti dei detentori dei diritti, con particolare attenzione ai flussi di streaming sportivo in diretta. Alla base di questo nuovo approccio c'è una maggiore automazione dei processi di enforcement. Justin Paine, vicepresidente Trust & Safety di Cloudflare, ha spiegato che l'azienda ha messo a disposizione dei titolari dei diritti una API dedicata, progettata per semplificare e velocizzare l'invio delle segnalazioni di violazione. Grazie a questo strumento, le richieste di takedown possono essere inoltrate in modo automatizzato, aumentando i volumi e riducendo i tempi di risposta, un aspetto cruciale per contenuti a breve durata come gli eventi sportivi live. Il Transparency Report sottolinea come questa collaborazione abbia portato le azioni DMCA da 1.394 a 54.357 in soli sei mesi. L'impatto più evidente riguarda Cloudflare R2: tra gennaio e giugno 2025 sono stati chiusi 21.218 account di storage, di cui 19.817 tramite processi automatici, senza intervento manuale.
Il report affronta anche il tema del blocco dei siti. In seguito a ordini giudiziari o richieste delle autorità competenti, Cloudflare ha applicato blocchi geografici su diversi domini che utilizzavano i suoi servizi CDN in modalità pass-through. La pressione regolatoria è in aumento, con un numero significativo di richieste provenienti dalla Francia. Tuttavia, la società ribadisce la propria contrarietà al blocco dei contenuti a livello DNS. Nel documento si precisa che Cloudflare ha cercato soluzioni legali prima di conformarsi a richieste di questo tipo o ha individuato meccanismi alternativi per rispettare gli ordini ricevuti. Viene inoltre ribadito che, ad oggi, nessun contenuto è stato bloccato tramite il resolver pubblico 1.1.1.1.
Tra gli effetti collaterali delle misure di contrasto alla pirateria, Cloudflare cita i casi di Spagna e Italia, dove alcuni provider sono stati obbligati a bloccare porzioni dell'infrastruttura dell'azienda per rispettare ordini di blocco IP contro lo streaming sportivo illegale. Secondo Cloudflare, queste misure hanno avuto conseguenze estese anche su siti del tutto legittimi. Paine critica esplicitamente l'approccio adottato da LaLiga, definendolo sproporzionato e sottolineando come il blocco per indirizzo IP finisca per colpire numerosi servizi non coinvolti nelle violazioni. Un impatto che, secondo l'azienda, limita l'accesso degli utenti a parti rilevanti di Internet durante le fasce orarie delle partite. Diverso il quadro nel Regno Unito, dove Cloudflare ha avviato una forma di cooperazione volontaria. L'azienda ha iniziato a bloccare alcuni domini sulla base di ordini di site blocking più datati, anche quando non era parte diretta dei procedimenti, adottando un modello simile a quello utilizzato da Google in altri Paesi. In questi casi, l'accesso viene interrotto tramite una pagina interstiziale con codice HTTP 451, che rimanda all'ordine giudiziario e fornisce un percorso di contestazione per i soggetti interessati. Secondo Paine, questa iniziativa rappresenta un tentativo di sperimentare soluzioni più mirate, in alternativa a pratiche di overblocking considerate eccessive. Un orientamento che si affianca all'aumento dei takedown automatizzati e che, secondo quanto emerge dal report, potrebbe portare a un'ulteriore crescita delle attività di enforcement nei prossimi anni, fermo restando il rifiuto di Cloudflare verso richieste di blocco ritenute incompatibili con l'architettura di base di Internet.

