L’Agenzia può analizzare i movimenti bancari fino a cinque anni a ritroso nel caso di dichiarazioni dei redditi presentate ma incomplete. Se invece la dichiarazione non è stata presentata, il periodo di verifica può estendersi fino a sette anni. I termini decorrono dal 1° gennaio dell’anno successivo a quello in cui andava presentata la dichiarazione.
L’algoritmo “anonimometro”
Per individuare possibili irregolarità, il Fisco utilizza anche strumenti tecnologici come l’anonimometro, un algoritmo che consente di esaminare i dati finanziari senza violare la privacy del contribuente. Quando emergono anomalie, si attivano controlli più approfonditi.
Anomalie che insospettiscono il Fisco
L’Agenzia osserva con attenzione alcune situazioni specifiche, come:
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Prelievi frequenti: possono indicare pagamenti in nero;
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Prelievi di importo elevato: possono far sospettare attività di riciclaggio;
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Assenza di prelievi: può suggerire la presenza di redditi non dichiarati;
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Versamenti regolari o elevati: potrebbero essere considerati redditi occulti;
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Bonifici senza causale chiara: possono nascondere lavoro nero o attività illecite;
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Risparmi sproporzionati rispetto al reddito dichiarato: indicano possibili entrate non ufficiali.
Anche l’assenza totale di prelievi può generare dubbi. Ad esempio, un lavoratore dipendente che riceve lo stipendio tramite bonifico e non utilizza mai il conto per le spese potrebbe far sospettare che stia vivendo con redditi non dichiarati. Diverso il caso dei pensionati con assegni inferiori a 1.000 euro: possono riscuotere in contanti presso gli uffici postali, ma anche in questi casi il Fisco è informato.
L’attivazione dell’accertamento fiscale
Quando viene avviato un accertamento, l’Agenzia delle Entrate invia al contribuente un questionario per chiarire l’origine delle somme e delle spese sostenute. A quel punto, il contribuente può difendersi con la cosiddetta prova contraria, dimostrando che:
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le somme provengono da terzi (es. donazioni);
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sono frutto di risparmi accumulati in anni precedenti;
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derivano da redditi esenti (es. risarcimenti, indennità, vincite, eredità);
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sono il risultato di operazioni non soggette a tassazione (es. vendite di beni).
L’onere della prova è del contribuente
Spetta al contribuente dimostrare che i movimenti contestati non derivano da redditi imponibili. La documentazione fornita deve essere precisa, dettagliata e analitica. Come stabilito dalla Corte di Cassazione (sentenze n. 17413/2022 e n. 24367/2021), la prova generica non è sufficiente. Sono ammesse anche presunzioni semplici, purché fondate su elementi gravi, precisi e concordanti.
Le conseguenze dell’accertamento
Se il contribuente non fornisce spiegazioni adeguate, le somme non giustificate vengono considerate redditi non dichiarati. In questo caso, l’Agenzia delle Entrate emette un avviso di accertamento, che comporta il pagamento delle imposte dovute, accompagnato da sanzioni per evasione fiscale.