Alcuni anni prima della pubblicazione di tali indicazioni regionali, il Comune di Venezia aveva già disciplinato le fasce di interruzione del gioco con delibera del Consiglio comunale n. 50/2016, prevedendo che “gli orari delle sale giochi autorizzate ex art. 86 ed ex art. 88 del TULPS di cui all’art. 3 comma 1 lett. a) del presente regolamento [i.e. sale dedicate VLT, sale bingo etc] sono così individuati: dalle 8.30 alle ore 21.30 di tutti i giorni compresi i festivi”, mentre “gli apparecchi automatici di intrattenimento di cui all’art. 110, co. 6 o 7 del TULPS, […] possono essere messi in esercizio tra le ore 9.00 e le ore 13.00 e tra le ore 15.00 e le ore 19.30 di tutti i giorni compresi i festivi”, mentre “al di fuori di tale fascia oraria devono essere spenti e disattivati”.
A seguito della DGR del 2019, il Comune, anziché adeguare il proprio regolamento, ha comunicato, con la nota impugnata, di ritenere che la disciplina contenuta nello stesso dovesse sovrapporsi a quella contenuta nella deliberazione regionale sopravvenuta, ritenendo, quindi, che il funzionamento degli apparecchi automatici di intrattenimento di cui all’art. 110 comma 6 lettera e) e b) e comma 7 lettera a) c) e c bis) del Tulps potesse ritenersi autorizzato nelle sole fasce orarie 913 e 15-18.
I motivi di illegittimità ravvisati da parte ricorrente possono essere così riassunti:
violazione e falsa applicazione dell’art. 8 l.r. Veneto n. 38/2019, violazione e falsa applicazione della DGR n. 2006 del 30 dicembre 2019. Violazione e falsa applicazione dei principi in tema di contrarius actus. Violazione e falsa applicazione dell’art. 50, comma 7 del TUEL e dell’art. 20, comma 3, della L.R. Veneto n.6/2015. Incompetenza. Il Comune avrebbe dovuto adeguare il proprio regolamento alla sopravvenuta disposizione regionale che imponeva l’uniforme rispetto delle fasce di interruzione come individuate; violazione e falsa applicazione dell’art. 8 l.r. Veneto n. 38/2019, violazione e falsa applicazione della DGR n. 2006 del 30 dicembre 2019, violazione e falsa applicazione dell’art. 1, co. 936 l. n. 208/2015, violazione e falsa applicazione dell’Intesa del 7.9.2017, sancita in sede di Conferenza Unificata Stato, Regioni, Enti locali. Eccesso di potere per sviamento, falsità dei presupposti, travisamento dei fatti, difetto di istruttoria, difetto di motivazione, contraddittorietà e perplessità dell’azione amministrativa. La legge regionale non avrebbe riservato alcuna discrezionalità alle amministrazioni comunali nella fissazione dei vincoli, nonostante essa preveda che la <<la “interruzione del gioco” per tutti gli apparecchi per il gioco di cui all’art. 110, comma 6 […] è un’azione di rinforzo delle norme regolamentari e/o delle ordinanze in materia di orari approvate dagli enti locali”. In ogni caso l’introduzione di una disciplina più restrittiva avrebbe dovuto essere debitamente motivata in relazione a particolari esigenze locali; in via subordinata, illegittimità della DGR n. 2006 del 30 dicembre 2019 per violazione e falsa applicazione dell’art. 8 l.r. Veneto n. 38/2019, violazione e falsa applicazione dell’art. 1, co. 936 l. n. 208/2015, violazione e falsa applicazione dell’Intesa del 7.9.2017, sancita in sede di Conferenza Unificata Stato, Regioni, Enti locali. Eccesso di potere per sviamento, contraddittorietà e perplessità dell’azione amministrativa. Illogicità ed irrazionalità manifeste. Nonostante la DGR anticipasse, nelle premesse, che “i Comuni possono, invece, aggiungere alle predette fasce di interruzione anche ulteriori fasce orarie di chiusura, anche in relazione alla situazione locale”, nulla è detto in proposito nella parte dispositiva e, dunque, il Comune non avrebbe potuto superare il limite delle sei ore giornaliere di interruzione. Nella denegata e non creduta ipotesi in cui si dovesse ritenere che la Giunta Regionale abbia inteso consentire ai Comuni di conservare o adottare provvedimenti più restrittivi, in punto di orari di funzionamento degli apparecchi, rispetto a quelli definiti dalla Giunta stessa, allora la DGR n. 2006 sarebbe illegittima, in quanto violerebbe l’art. 8 della L.R. n. 38/2019 di cui è attuazione; in via ulteriormente subordinata, illegittimità derivata della DGR n. 2006 dall’illegittimità costituzionale dell’art. 8, co. 2 l.r. n. 38/2019, per violazione degli artt. 3, 41 e 118 Cost.
Si sono costituiti in giudizio la Regione Veneto e il Comune di Venezia per resistere all’accoglimento del ricorso.
In vista dell’udienza di trattazione del merito il Comune ha depositato una memoria nella quale ha eccepito l’improcedibilità del ricorso per sopravvenuta carenza d’interesse, evidenziando come la nota comunale impugnata sia già stata annullata da questo Tar con sentenza n. 756/2023.
All’udienza di smaltimento dell’arretrato del 11 giugno 2024, svolta con modalità da remoto, la causa è stata trattenuta in decisione.
Preliminarmente, il Collegio esclude che l’annullamento da parte di questo Tar della nota comunale impugnata (stabilito con la sentenza n. 756/2023), all’esito di altro procedimento e tra parti diverse, possa determinare l’improcedibilità del presente ricorso, trattandosi di annullamento con effetti limitati inter partes.
Nondimeno, il ricorso è fondato nei limiti che saranno ora esposti.
È opportuno premettere che a seguito dell’entrata in vigore della Legge Regionale n. 38 del 10 settembre 2019 – rubricata ‘Norme sulla prevenzione e cura del disturbo da gioco d’azzardo patologico’ e il cui art. 8 (Limitazioni all’esercizio del gioco) ha demandato alla Giunta Regionale l’adozione di un provvedimento per “rendere omogenee sul territorio regionale le fasce orarie di interruzione quotidiana del gioco, secondo quanto previsto dall’intesa sottoscritta ai sensi dell’art. 1, comma 936, della legge 28 dicembre 2015 n. 208” – la Giunta Regionale ha adottato la Deliberazione n. 2006 del 30 dicembre 2019, con cui ha stabilito tre fasce di interruzione del gioco lecito da porre in essere in modo omogeneo ed uniforme su tutto il territorio regionale: dalle 7.00 alle 9.00; dalle 13.00 alle 15.00 e dalle 18.alle 20.00.
Conseguentemente, il Comune di Venezia ha chiarito, con la Nota P.G. 2020/0041555 del 22.1.2020, che la messa in funzione degli apparecchi avrebbe dovuto osservare, per effetto della sovrapposizione della disciplina regionale sul regolamento comunale, il nuovo orario 9.00 – 13.00 e 15.00 -18.00, con una riduzione quindi di un’ora e mezzo del funzionamento degli apparecchi di gioco rispetto a quanto stabilito dalla norma locale.
Dunque, precisato che in relazione alla legittimità del regolamento comunale adottato nel 2016 ed applicato fino alla adozione della DGR del 2019 questo Tribunale si è già pronunciato respingendo, con sentenza n. 1892/2022, la domanda di annullamento formulata dall’odierna ricorrente, il ricorso ora in esame porta all’attenzione del Tribunale la questione della conformità all’ordinamento di una regolazione dell’orario in cui è possibile praticare il gioco con apparecchi automatici derivante dalla sovrapposizione della norma regolamentare comunale, ritenuta ancora vigente dopo la riforma della norma regionale e del contenuto “minimo” imposto dalla più volte citata DGR 2006/2019.
La nota in questione non ha, quindi, un mero contenuto informativo, bensì dispositivo.
Il Comune, infatti, ha ritenuto di poter fare diretta applicazione di una previsione regionale priva di efficacia diretta e volta a orientare l’esercizio del potere regolatorio comunale, così incidendo direttamente sull’esercizio dell’attività degli esercenti il gioco lecito con un atto la cui legittimità deve essere indagata alla luce di quanto dedotto nel ricorso in esame. Ricorso che, proprio in ragione di quanto sin qui chiarito, deve ritenersi ammissibile, in quanto volto ad ottenere la caducazione di una manifestazione di volontà del Comune (che ha individuato il nuovo orario applicabile) preordinata a limitare l’attività imprenditoriale della ricorrente.
Si può, quindi, passare all’esame del merito della controversia, ancorché non prima di aver ricordato l’ormai consolidato orientamento giurisprudenziale, da ultimo richiamato nella sentenza di questo Tribunale n. 1317/2022, in cui “si osserva che la giurisprudenza amministrativa ha ormai univocamente riconosciuto alle amministrazioni comunali (e, nella specie, al Sindaco, in base all’art. 50, comma 7 del Tuel) il potere di disciplinare gli orari delle sale da gioco o di accensione e spegnimento degli apparecchi durante l’orario di apertura degli esercizi in cui i medesimi sono installati (ex multis Consiglio di Stato, sez. sez. V, 28 marzo 2018, n.1933; id., 22 ottobre 2015, n. 4861; id., 1 agosto 2015, n. 3778); in particolare, è stato evidenziato che dal composito e complesso quadro giuridico che regola la materia, emerge non solo e non tanto la legittimazione, ma l’esistenza di un vero e proprio obbligo a porre in essere, da parte dell’amministrazione comunale, interventi limitativi nella regolamentazione delle attività di gioco, ispirati per un verso alla tutela della salute, che rischia di essere gravemente compromessa per i cittadini che siano giocatori e quindi clienti delle sale gioco, per altro verso al principio di precauzione, citato nell’art. 191 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE), il cui campo di applicazione si estende anche alla politica dei consumatori, alla legislazione europea sugli alimenti, alla salute umana, animale e vegetale” (cfr., sul punto, la sentenza del Consiglio di Stato, sez. III, 1 luglio 2019, n. 4509).
Accertata la legittimità dell’esercizio del potere regolatorio comunale, la giurisprudenza ha altresì individuato il secondo principio fondamentale della materia, secondo cui “Il potere del Sindaco di regolamentare gli orari di apertura delle sale gioco e di funzionamento degli apparecchi da gioco deve essere esercitato ponderando, in termini ragionevoli e proporzionali, i contrapposti interessi che vengono in rilievo nella fattispecie. Conseguentemente, la determinazione dei limiti orari per l’esercizio del gioco d’azzardo lecito non può mai prescindere da un’accurata indagine sull’effettiva sussistenza dell’interesse contrapposto a quello dei titolari delle autorizzazioni rilasciate dalle Autorità di P.S., e sulle modalità e la misura in cui tale interesse concretamente si manifesta nello specifico contesto socio economico e territoriale di riferimento. Solo una volta ricostruito in sede istruttoria tale presupposto di fatto, potranno invero individuarsi i limiti di funzionamento alle attività imprenditoriali del settore in modo proporzionato, equilibrato e ragionevole.” (così si legge nella sentenza TAR Milano, n. 2182/2022).
Fatta tale premessa finalizzata alla ricostruzione del quadro giuridico di riferimento, la fattispecie in esame è caratterizzata da una situazione in fatto del tutto anomala. Il Comune di Venezia, infatti, a seguito dell’entrata in vigore della legge regionale n. 38 del 2019 e della delibera n. 2600/2019, ha esercitato il proprio potere discrezionale di disciplinare l’orario di funzionamento degli apparecchi di gioco sovrapponendo la previgente disposizione regolamentare e le fasce minime di interruzione del gioco imposte a livello regionale, così, di fatto, riducendo ulteriormente l’orario di esercizio dell’attività di gioco, attraverso un atto che integra l’ipotesi di un provvedimento viziato dall’incompetenza di chi l’ha adottato e comunque privo della necessaria motivazione.
È pur vero, infatti, che questo Tribunale, nella sentenza n. 592/2022, ha affermato il principio, da cui il Collegio non ravvisa ragione di discostarsi, secondo il quale “l’intervenuta approvazione della legge regionale n. 38/2019 – recante “Norme sulla prevenzione e cura del disturbo da gioco d’azzardo patologico” – e che richiama l’intesa di cui all’art. 1, comma 936 della legge n. 208/2015, non è idonea a determinare l’inefficacia delle disposizioni regolamentari censurate” contenute in un regolamento previgente.
Proprio in ragione di ciò il provvedimento impugnato in via principale nel ricorso in esame risulta essere illegittimo.
Nella sua adozione, infatti, il Comune di Venezia non si è limitato a ritenere che potesse continuare a trovare applicazione il proprio regolamento comunale, ma ha ritenuto di dover applicare una disciplina ancora più restrittiva di quella ivi contenuta, sovrapponendovi le previsioni della DGR 2600/2019, senza procedere a una formale modifica del regolamento. Nella sostanza, dunque, il Comune, contrariamente a quanto accaduto nel caso alla base della pronuncia ora ricordata, ha ritenuto di adeguare la propria regolamentazione alla sopravvenuta disciplina, ma lo ha fatto senza utilizzare i necessari strumenti giuridici.
Il Comune, dunque, a fronte della sopravvenuta disciplina regionale, avrebbe potuto tenere fermo il proprio regolamento comunale (che prevede la possibilità di funzionamento degli apparati di gioco tra le ore 9.00 e le ore 13.00 e tra le ore 15.00 e le ore 19.30), il che avrebbe comunque determinato una limitazione dell’attività di gioco molto più ampia di quella prevista dalla Regione, anche se non coincidente per la fascia compresa tra le 18 e le 19.30, in cui dovrebbe essere sospesa in base alle indicazioni minime della Regione. Ovvero avrebbe potuto adeguare il proprio regolamento al rispetto delle fasce minime previste dalla DGR regionale, ma ciò avrebbe dovuto avvenire mediante una deliberazione consiliare, nella quale avrebbe dovuto essere dato conto delle ragioni legittimanti l’applicazione di una regolazione oraria ancora più restrittiva di quella prevista dalla Regione e anche dal proprio precedente regolamento. In alternativa, fermo restando il Regolamento, il Sindaco avrebbe potuto esercitare i poteri regolatori allo stesso attribuiti, fissando nuovi orari di funzionamento degli apparecchi, ancorché sempre motivando in ordine alla necessità e rispondenza all’interesse pubblico, della nuova regolazione oraria.
In nessun modo la sopravvenuta disciplina regionale avrebbe potuto determinare (così come già affermato nelle sentenze di questo Tribunale richiamate proprio dall’Amministrazione resistente) l’automatica modificazione del regolamento comunale presupposta nella comunicazione impugnata.
In assenza di una deliberazione del Consiglio comunale o di un’ordinanza sindacale a monte, la nota del Dirigente che impone un nuovo orario di messa in funzione degli apparecchi automatici di intrattenimento di cui all’art. 110, comma 6 lettera lettera a) c) e c bis) risulta, dunque, essere un atto viziato da incompetenza, in quanto adottato da un organo dell’ente (il dirigente della Direzione Servizi al cittadino e imprese) privo del potere di modificare le previsioni del vigente regolamento comunale.
L’accoglimento di tale vizio risulta assorbente rispetto a ogni altra censura. Così caducato il provvedimento impugnato in via principale, le spese del giudizio seguono l’ordinaria regola della soccombenza”.
fonte: jamma.tv