Il recente verdetto del TAR della Calabria, pronunciato dalla Prima Sezione, ha segnato un punto fermo nella vicenda complessa riguardante una società attiva nel settore delle scommesse. Questo verdetto rappresenta un ulteriore sviluppo nella lotta delle istituzioni contro la manipolazione e l'illegalità in uno dei settori più delicati dell'economia locale. La causa è stata avviata sulla scorta di un provvedimento emesso dalla Questura di Vibo Valentia, che aveva negato il rilascio della licenza di pubblica sicurezza ai sensi dell’art. 88 del T.U.L.P.S.
Il diniego da parte della Questura non è stato un atto isolato, ma una decisione ben ponderata e supportata da precise argomentazioni. Le autorità hanno giustificato il rifiuto di concedere la licenza sottolineando le frequentazioni abitudinarie del legale rappresentante della società con individui noti per i loro precedenti penali, coinvolti in reati gravi, inclusi quelli legati al gioco d’azzardo. La normativa vigente, in modo particolare l’art. 11 del T.U.L.P.S., impone un livello elevato di buona condotta per l’ottenimento delle autorizzazioni nel settore delle scommesse, e le suddette frequentazioni compromettevano, secondo l'amministrazione, tale requisito fondamentale.
La società coinvolta aveva tentato di difendersi, presentando un ricorso al TAR con cui lamentava presunte violazioni procedurali, segnalando carenze istruttorie e dissonanze rispetto a precedenti autorizzazioni concesse allo stesso individuo nelle vesti di “preposto”. Tuttavia, queste argomentazioni non hanno trovato eco favorevole nei giudici del TAR, i quali hanno ritenuto prive di fondamento tutte le censure mosse dai ricorrenti.
Partendo dall’esame della situazione, i giudici amministrativi hanno sottolineato che la motivazione fornita per il diniego fosse non solo logica ma anche coerente. Da un lato, la Questura ha operato una distinzione tra il ruolo di preposto e quello di titolare diretto della licenza, considerando quest’ultimo un ruolo di maggiore responsabilità. Dall’altro, il ritardo nella formalizzazione del diniego non è stato ritenuto sufficiente ad inficiarne la legittimità, poiché la questione riguarda problemi di pubblica sicurezza, che richiedono pertanto un'ampia discrezionalità decisionale da parte delle autorità competenti.
In definitiva, l’interpretazione del comportamento del legale rappresentante è stata cruciale. Sebbene non ci siano prove di reati a suo carico, le sue relazioni personali e professionali sono state giudicate gravemente incompatibili con il tenore di vita richiesto a chi opera nelle cosiddette attività sensibili, come la gestione delle scommesse. Questo ha portato i giudici a confermare la bontà della valutazione discrezionale della Questura, che si è dimostrata attenta e non irragionevole rispetto alle richieste normative in campo di sicurezza pubblica.
A conclusione del procedimento, il TAR ha condannato la società ricorrente al pagamento delle spese legali, fissando l’ammontare in favore dell’amministrazione a 2.000 euro. Questa sentenza non solo ribadisce l'importanza del rispetto delle leggi in materia di pubblica sicurezza, ma sottolinea come il contesto di conoscenze e relazioni di chi richiede determinate licenze sia essenziale per la garanzia dell’integrità delle operazioni commerciali e della protezione dei cittadini.