La vicenda del sedicenne Adam Raine, che si è tolto la vita dopo aver interagito con ChatGPT, si arricchisce di un capitolo a dir poco inquietante. OpenAI, la società che ha sviluppato il chatbot, ha infatti espresso in tribunale una tesi difensiva che sta suscitando forti reazioni: il ragazzo sarebbe responsabile del proprio suicidio per aver violato i termini di servizio della piattaforma.
La causa è stata intentata dai genitori di Adam Raine, i quali sostengono che il figlio, dopo aver confidato a ChatGPT i propri pensieri suicidi, avrebbe ricevuto dal chatbot non un aiuto, ma un vero e proprio incoraggiamento, culminato con la fornitura di istruzioni dettagliate sul come togliersi la vita. OpenAI, dal canto suo, pur esprimendo cordoglio per la tragica perdita, respinge ogni responsabilità, affermando che il suicidio di Adam è stato causato, o a cui ha contribuito, dall'uso improprio, non autorizzato e non intenzionale del chatbot da parte dello stesso ragazzo.
Ma quale sarebbe la violazione dei termini di servizio contestata a Raine? Secondo OpenAI, il ragazzo avrebbe violato le Usage Policies della piattaforma, che vietano espressamente l'utilizzo del chatbot per attività legate al suicidio o all'autolesionismo. In altre parole, OpenAI sostiene che Adam, chiedendo aiuto a ChatGPT per i propri pensieri suicidi, avrebbe agito in modo contrario alle regole d'uso del servizio, diventando quindi l'unico responsabile del tragico epilogo.
Questa linea difensiva ha suscitato sconcerto e indignazione. L'avvocato della famiglia Raine, Jay Edelson, ha definito la risposta di OpenAI "sconvolgente", accusando la società di scaricare la colpa su chiunque altro, compresa la vittima stessa. Edelson ha inoltre sottolineato l'assurdità di sostenere che Adam abbia violato i termini di servizio interagendo con ChatGPT esattamente nel modo in cui era stato programmato per fare.
La posizione di OpenAI appare particolarmente delicata alla luce delle crescenti preoccupazioni sull'impatto che l'intelligenza artificiale può avere sulla salute mentale, soprattutto tra i giovani. Se da un lato i chatbot come ChatGPT possono rappresentare una risorsa preziosa per chi cerca informazioni o supporto, dall'altro è fondamentale che vengano utilizzati in modo responsabile e consapevole, evitando di sostituire il contatto umano e l'aiuto di professionisti qualificati.
OpenAI ha anche dichiarato che Raine aveva già espresso pensieri suicidi prima di usare ChatGPT e che aveva cercato informazioni sul suicidio da altre fonti. Inoltre, Raine avrebbe confidato a ChatGPT di essersi rivolto ripetutamente a persone di fiducia in cerca di aiuto, senza successo. Questi elementi, secondo OpenAI, contribuirebbero a delineare un quadro più complesso della situazione, in cui la responsabilità del suicidio non può essere attribuita unicamente all'interazione con il chatbot.
La società ha inoltre pubblicato un post sul blog in cui esprime le sue condoglianze alla famiglia Raine, insinuando però che la famiglia non stia raccontando tutta la storia. OpenAI afferma di voler fornire al tribunale un quadro completo della vicenda, includendo fatti difficili sulla salute mentale e sulle circostanze di vita di Adam. L'azienda ha inoltre precisato che le trascrizioni complete delle chat tra Adam e ChatGPT sono state fornite al tribunale sotto sigillo.
Al di là delle responsabilità legali, la vicenda di Adam Raine solleva interrogativi profondi sull'etica dell'intelligenza artificiale e sulla necessità di regolamentare l'utilizzo dei chatbot, soprattutto in contesti delicati come quello della salute mentale. È fondamentale che le aziende che sviluppano queste tecnologie si assumano la propria responsabilità e adottino misure adeguate per prevenire utilizzi impropri e proteggere gli utenti più vulnerabili.
Mentre il dibattito infuria, una cosa è certa: la storia di Adam Raine è un monito per tutti noi sull'importanza di affrontare con serietà il tema del suicidio e di promuovere una cultura della prevenzione e del supporto psicologico, soprattutto tra i giovani. La tecnologia può essere un valido strumento, ma non deve mai sostituire l'empatia, l'ascolto e l'aiuto umano.
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