Jerome Dobson
, illustre professore emerito di geografia presso l'Università del Kansas, ha dedicato anni all'analisi delle cosiddette 'acquaterre', vaste regioni un tempo abitate da antiche popolazioni ma oggi sommerse a causa delle variazioni del livello del mare. In un recente studio pubblicato sulla rivista Comptes Rendus Géoscience dell’
Accademia delle Scienze Francese
, Dobson, insieme ai colleghi
Giorgio Spada
dell’Università di Bologna e
Gaia Galassi
dell’Università di Urbino, ha riesaminato le rotte migratorie degli umani moderni dall’Africa utilizzando un modello di isostasia glaciale (GIA) avanzato che ricostruisce i cambiamenti storici del livello del mare.
Questo approccio, integrato con dati genetici e archeologici, ha permesso di tracciare con maggiore precisione l'impatto che lo scioglimento dei ghiacciai, proseguito a lungo dopo l’ultimo massimo glaciale circa 21,000 anni fa, ha avuto sui corridoi migratori e sullo sviluppo delle prime civiltà. Dobson afferma che molti paesaggi sottomarini hanno un ‘significativo valore archeologico' e che grazie alla nuova modellizzazione aumenta la possibilità di scoprirli.
L’indagine fornisce nuovi dati sui livelli degli oceani, le antiche linee di costa e percorsi di migrazione in Africa e nell'Asia occidentale. Gli scienziati hanno suggerito rotte alternative attraverso le quali gli uomini avrebbero potuto lasciare l'Africa: dal passaggio attraverso il
Canale di Suez
(tra il Mar Rosso e il Mediterraneo), attraverso il Golfo di Aqaba verso il Levante, lo Stretto di Bab el-Mandeb verso l'Arabia, e la Baia di
Foul Bay
verso il Mediterraneo. “Era fondamentale ricostruire accuratamente le linee di costa,” ha specificato Dobson. La misurazione accurata di queste modalità era fondamentale, poiché non basta sottrarre l’altezza del mare dalla topografia: la crosta terrestre si deforma sotto il peso dei ghiacciai e il modello GIA aiuta a tenere conto di questo fenomeno.
I risultati dello studio mostrano che alcune di queste rotte sono rimaste accessibili più a lungo di quanto si pensasse, nonostante la loro percorribilità dipendesse dalle fluttuazioni locali del livello del mare. Il team ha anche utilizzato banche dati genetiche per collegare gli spostamenti delle popolazioni con i percorsi geografici proposti.
Un'altra affascinante scoperta riguarda
Meroe
, considerato un antico centro dell'umanità. “Ora disponiamo di una nuova mappa dei centri del DNA risalente a due milioni di anni fa”, ha dichiarato Dobson. “Essa indica una singola fonte di origine nel sud, vicino a Meroe in
Kush
, in profondità in Africa. Nonostante scarse evidenze archeologiche, i dati genetici sono convincenti e omogenei”. Lo studio ha esplorato due possibili assi principali di migrazione: il percorso nord attraverso il
Sinai
e il percorso sud attraverso Bab el-Mandeb. Contrariamente alle vecchie teorie, il lavoro ha indicato che il percorso nord ha un solido fondamento, mentre quello sud, probabilmente, presentava ostacoli significativi per mancanza di tecnologie nautiche avanzate.
“Gli studiosi di genetica avevano già ipotizzato che l’antico centro delle haplogruppi si trovasse nel nord-est del
Sudan
”, ha osservato Dobson. “Sorprendentemente, sebbene le mappe archeologiche spesso evidenzino il percorso sud, i dati genetici da entrambi i lati di Bab el-Mandeb quasi non si collegano”.
Gli studiosi hanno anche esaminato altre possibili vie, includendo la valle del
Nilo
e l'area di
Berenice
nella Foul Bay (
Egitto
), che avrebbe potuto fungere da porto chiave. “La
Foul Bay
era un'importante alternativa quando il livello del mare calava, poiché attraversare Suez comportava percorrere circa 500 km in zone aride, mentre con la Foul Bay il tragitto si riduceva a 300 km, evitando i pericolosi reef del Mar Rosso”. I ricercatori credono che le barriere coralline vicino alla Foul Bay possano custodire ulteriori chiavi per comprendere le migrazioni. “I coralli necessitano di una solida base, e la loro presenza in aree oggi sommerse è un indizio intrigante, anche se ulteriori studi sono necessari per confermare tracce di attività umana”, ha aggiunto Dobson.
L’accesso aperto ai dati di questa ricerca potrà stimolare nuovi lavori nell’ambito della geografia, l’archeologia, la ricerca sulle migrazioni e persino la conservazione delle specie. “Questo è un
strumento
per la comunità scientifica”, ha concluso Dobson. “Ora altri ricercatori potranno approfondire come vivevano i nostri antenati e come questi paesaggi sono cambiati nel tempo”.
