Alessandro Bastoni si confessa ai microfoni di “Undici”, offrendo uno sguardo approfondito sul presente dell'Inter e sul suo percorso personale. Il difensore analizza l'impatto positivo di Cristian Chivu all'interno dello staff tecnico, riflette sull'evoluzione del suo ruolo in campo, esplora l'importanza dell'equilibrio mentale e della responsabilità maturata all'interno dello spogliatoio nerazzurro. Immancabile un riferimento alla finale di Champions League di Monaco, una ferita ancora aperta ma che funge da stimolo per riprovarci.
Bastoni non esita a promuovere l'ingresso di Cristian Chivu nello staff tecnico: "Ha avuto un approccio molto positivo. È una persona valida, un ragazzo eccezionale che ha tanta voglia di lavorare. Ci trasmette le cose nella maniera giusta e ha colto perfettamente il modo migliore di entrare nel gruppo". Un riconoscimento significativo, proveniente da uno dei pilastri tecnici e carismatici dello spogliatoio nerazzurro.
Il numero 95 nerazzurro approfondisce poi la sua evoluzione tattica in campo. "Nell’immaginario collettivo il difensore difende e basta, ma non è il mio caso. Mi piace fare molto altro, mi viene naturale", spiega. Il suo modello di riferimento è Tolói, osservato ai tempi del settore giovanile dell'Atalanta, dove la tecnica è parte integrante della formazione. Già con Conte, spiega Bastoni, aveva iniziato a interpretare il ruolo in modo diverso. Con Inzaghi e con compagni come Dimarco e Mkhitaryan il sistema di gioco si è ulteriormente esaltato: "Sono schemi che ci vengono in modo naturale e che il tempo ha elevato all’ennesima potenza. Io mi reputo un giocatore intelligente, capace di leggere bene le situazioni. Inizio sempre in difesa, poi in partita mi muovo in base a ciò che serve".
Tra i temi più delicati affrontati, c'è anche l'importanza dell'equilibrio mentale. Bastoni lo affronta con maturità: "Un giorno sei fortissimo, quello dopo sei scarso. Ogni domenica devi dimostrare quello che vali. L'esperienza mi ha insegnato che serve equilibrio". Nessun peso psicologico, anzi: "Non ho mai sentito la pressione. Vivo tutto con la gioia di fare ciò che mi piace. Mi basta la famiglia, che mi dà la giusta leggerezza". Una stabilità che considera parte integrante del suo rendimento in campo.
Sette stagioni in nerazzurro significano crescita, responsabilità e cambiamento. "Quando sono arrivato avevo vent'anni. Era un sogno vedere lo stemma dell'Inter sulla maglia, ma non potevo avere quella personalità. Ora invece sì", racconta Bastoni. Il riferimento va ai modelli di allora: Handanovic, D’Ambrosio, Ranocchia. Oggi il ruolo si è invertito: "Quello che loro sono stati per me, io lo sono per i più giovani. Lautaro è il capitano, ma è bravo a farsi aiutare. Anche io e Barella ci facciamo sentire". In particolare, Bastoni rivendica un merito preciso nello spogliatoio nerazzurro: "So indirizzare i nuovi nella direzione giusta, far capire cosa ci aspettiamo. Con Pio Esposito stiamo cercando di dargli una mano, ma per ora non ce n’è stato bisogno: è molto tranquillo".
Impossibile non menzionare la finale persa contro il PSG. Bastoni non si nasconde: "È stata una cosa strana. Venivamo da una semifinale storica, ma loro andavano al doppio. È come se non avessimo colto subito quanto fossero forti". Rimane l’amarezza, ma anche l’orgoglio: due finali in tre anni non sono un traguardo banale. E soprattutto rimane la spinta e la voglia di ritentare: "Non abbiamo dormito per giorni, ma il calcio ti dà sempre un'altra occasione. Quando passa il tempo ti dici: ci voglio riprovare. Con un gruppo sano è tutto più facile".
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