Il Giappone, pur non essendo ricco di risorse minerarie terrestri, è circondato da un vasto territorio marittimo che, con le giuste tecnologie, potrebbe diventare una fonte preziosa di materie prime. Nel 2027, il paese prevede di avviare un progetto pilota per l'estrazione di terre rare dai fanghi marini, prelevati a circa 6000 metri di profondità nelle acque circostanti l'isola più orientale sotto il controllo giapponese.
Le autorità giapponesi intendono costruire un impianto dedicato all'estrazione di questi minerali sull'isola di Minamitorishima, la punta più orientale dell'arcipelago di Ogasawara. Finora, lo sfruttamento di queste risorse è stato ostacolato dalla distanza da Tokyo (oltre 1000 km) e dalla necessità di proteggere l'ecosistema unico dell'arcipelago. Tuttavia, la crescente domanda di terre rare, come il disprosio, da parte delle industrie giapponesi e globali, rende questo progetto potenzialmente redditizio. Questi metalli sono essenziali per la produzione di batterie per veicoli elettrici e componenti elettronici avanzati.
Il processo prevede che i fanghi marini, estratti dalle profondità tramite un sistema di tubazioni, vengano inizialmente trattati in centrifughe direttamente sull'isola di Minamitorishima. Dopo la rimozione dell'acqua, il volume dei fanghi si ridurrà fino all'80%, facilitandone il trasporto via mare verso gli impianti di lavorazione principali in Giappone. Sono previste estrazioni di prova tra gennaio e febbraio, con l'obiettivo di raggiungere la produzione industriale entro febbraio 2027, con una capacità di lavorazione di 350 tonnellate di fango al giorno. Si stima che i fanghi marini locali siano privi di impurità nocive e elementi radioattivi, rendendo il processo di lavorazione relativamente semplice e sicuro. La sfida principale rimane l'estrazione dei fanghi a tali profondità.
Il governo giapponese ha stanziato 105 milioni di dollari nell'ambito del programma SIP (Cross-ministerial Strategic Innovation Promotion Program) per finanziare gli esperimenti necessari. Questi fondi saranno destinati alla costruzione dell'impianto di lavorazione, al noleggio di navi da trasporto e all'utilizzo di aerei per il trasporto del personale sull'isola remota. Sarà inoltre necessario costruire alloggi per il personale e risolvere le questioni relative all'approvvigionamento di energia elettrica e acqua.
I fondali marini che circondano le isole giapponesi sono ricchi anche di altre risorse, tra cui giacimenti idrotermali, depositi di carbone e noduli di manganese contenenti nichel. Tuttavia, lo sfruttamento di queste risorse comporta rischi finanziari e potenziali danni ambientali, rendendo le prospettive di tali progetti dipendenti dai prezzi globali delle materie prime. Nel caso delle terre rare, la situazione del mercato globale favorisce iniziative audaci come questa, dato che la Cina detiene circa il 70% della produzione mondiale e potrebbe utilizzare questa posizione per esercitare pressioni politiche su paesi considerati ostili. Il Giappone mira a ridurre questa dipendenza sviluppando le proprie risorse interne. Questo progetto rappresenta un passo significativo verso l'autosufficienza tecnologica e strategica del Giappone, in un contesto geopolitico sempre più complesso e competitivo. L'iniziativa potrebbe anche fungere da modello per altri paesi che cercano di diversificare le proprie fonti di approvvigionamento di materie prime critiche, promuovendo al contempo lo sviluppo di tecnologie innovative per l'esplorazione e lo sfruttamento sostenibile degli oceani.


