Julio Velasco, icona indiscussa della pallavolo mondiale, ha recentemente condiviso alcune riflessioni personali che hanno solleticato la curiosità degli appassionati di sport e non solo. Reduce dal grande successo ottenuto alla guida dell'Italvolley femminile, Velasco ha espresso un desiderio di restare lontano dai riflettori, pur continuando a dedicarsi con passione allo sport che ama. Intervenendo in un'intervista al Corriere dello Sport, Velasco ha affrontato il tema della sua immagine pubblica, spesso distorta dall'ideale di 'guru' che i media e alcuni fan gli hanno cucito addosso. "Quando mi dipingono come una specie di guru mi rompo i c... di quel me stesso. Tante frasi che mi hanno attribuito non le ho mai pronunciate, c'è addirittura chi è convinto che io sia l'autore del libro Il codice Velasco, invece non ne so nulla", ha chiarito Velasco, sottolineando come il suo obiettivo principale resti quello di allenare, non di conformarsi o alimentare un mito.
La strategia di Velasco si fonda su un approccio pragmatico e non ideologico. Crede fermamente nell'importanza dell''adattamento ai gruppi e al momento', piuttosto che nell'insistere su un'idea a prescindere dal contesto. Questa visione pragmatica rappresenta un esempio di innovazione nel modo di concepire la leadership nello sport di oggi. "Insistere su un’idea anche quando non funziona è sbagliato", ha dichiarato, ricordando che ogni gruppo e ogni momento richiedono un approccio unico e flessibile.
Interrogato sul declino che può affliggere una figura pubblica, Velasco è stato chiaro: "Se la persona diventa personaggio e finisce per crederci, allora arriva il declino." Questo non significa, però, che non si debba mirare all'eccellenza. Una lezione che Velasco ha voluto trasmettere alle sue ragazze durante i Mondiali. Ha spiegato loro come l'oro di Parigi fosse un'eccezione e non la norma. Quell'oro olimpico, infatti, simboleggiava il culmine di un percorso fatto di lavoro e determinazione, ma anche di continui adattamenti e strategie ben ponderate. "Basta un attimo per trasformare un punteggio da positivo a negativo e viceversa." Con un paragone azzeccato, Velasco ha citato Vasco Rossi come esempio di una personalità che, nonostante non sia tecnicamente tra le migliori, è in grado di comunicare qualcosa di forte e comprensibile.
Oltre al suo straordinario successo nel volley, Velasco ha avuto un breve capitolo anche nel calcio, esperienza dalla quale ha tratto alcune lezioni significative. Ricorda quando, alla Lazio, fu scelto insieme a Dino Zoff, probabilmente per l’immagine "pulita" e spendibile che rappresentavano. Tuttavia, una volta calato nella realtà della gestione calcistica, percepì presto i limiti di quella scelta. Rinunciò a quattro anni di contratto, preferendo allontanarsi da un ambiente in cui non si riconosceva. Anche all'Inter, la sua esperienza fu breve, complicata da una confusione organizzativa latente e rese ancor più indecifrabile dal rapido esonero di Marcello Lippi. "Non ho mai capito cosa volesse Moratti da me", racconta oggi Velasco, sorridendo dei paradossi di quell'epoca e della decisione della società di continuare a pagarlo pur senza lavorare.
Con le sue dichiarazioni, Velasco si pone nel panorama sportivo non solo come un grande allenatore, ma anche come una mente che riflette e interroga il mondo in cui opera. Il suo desiderio di "sparire per un po'" e sfuggire alle continue esposizioni mediatiche è sintomatico di un uomo che, nonostante la fama, sceglie di restare fedele a sé stesso e al valore dello sport, al di là delle luci e delle ombre della ribalta.