Una mossa apparentemente decisiva ha scosso il mondo della tecnologia: il governo degli Stati Uniti ha annunciato un investimento di 8,9 miliardi di dollari per acquistare il 9,9% delle azioni di Intel. Questo intervento, sebbene significativo, secondo diversi analisti, potrebbe non essere sufficiente per garantire la capacità del gigante dei semiconduttori di mantenere la propria produzione al passo con la concorrenza. La vera sfida per Intel, infatti, risiede nella necessità di assicurarsi clienti per i suoi avanzati processi tecnologici 18A e 14A.
Intel ha piena consapevolezza della complessità della situazione. In un recente rapporto, la società ha dichiarato che potrebbe dover abbandonare lo sviluppo della tecnologia 14A, se non verrà raggiunto un numero sufficiente di clienti esterni disposti a investirci. Gli analisti di Summit Insights, intervistati da Reuters, hanno sottolineato che non solo la tecnologia 14A, ma anche quella più matura 18A, necessitano di adeguato supporto dai clienti. Senza ordini sufficienti per questi nuovi processi, perfino le ingenti somme di denaro investite dagli accordi governativi diventano insignificanti.
Secondo quanto riportato precedentemente da Reuters, Intel si trova a fronteggiare un alto livello di difetti nella produzione dei chip basati sulla tecnologia 18A. Questo genere di problemi potrebbe non preoccupare aziende più grandi come TSMC, ma per Intel, che sta registrando perdite per sei trimestri consecutivi, queste situazioni rappresentano un ostacolo considerevole. Si crea, così, un circolo vizioso: un elevato tasso di difetti allontana i clienti esterni dai servizi di Intel, ma senza questi ordini, l'azienda non può risanare le proprie finanze.
L'accordo con l'amministrazione americana prevede che nessun funzionario governativo entrerebbe nel consiglio direttivo di Intel, ma al governo verrebbe comunque garantito il diritto di voto su alcune questioni chiave. Gli analisti di Cabelli Funds suggeriscono che, per Intel, l'accordo comporta più conseguenze negative che il semplice ottenimento di sussidi previsti dal CHIPS Act, che è stato fortemente criticato da Donald Trump. I fondi verranno quindi erogati a Intel non senza condizioni, e l'accordo con il governo trasformerebbe quest'ultimo nel maggiore azionista della società.
Il piano prevede anche la concessione al governo di certificati, validi per cinque anni, che possono essere convertiti in azioni Intel al prezzo di 20 dollari l'una, qualora Intel dovesse perdere il controllo di almeno il 51% del suo business contrattuale. In tal caso, gli Stati Uniti avrebbero la possibilità di acquisire un ulteriore 5% delle azioni. Queste misure sembrano disposte come un'assicurazione da parte dell'amministrazione americana contro eventuali transazioni che potrebbero condurre alla creazione di una struttura più autonoma, Intel Foundry Services, attrarrebbe azionisti esterni.
In definitiva, mentre l'investimento del governo statunitense appare un segnale di intervento significativo, la vera salvezza di Intel risiede nella sua capacità di abbassare il tasso di difettosità e attrarre nuovi clienti per i suoi processi tecnologici di punta.