La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 28653/2025, ha parzialmente accolto il ricorso di un uomo originario della provincia di Salerno, precedentemente condannato per peculato in qualità di gestore di fatto di una ricevitoria del lotto. La sua responsabilità derivava dalla gestione dei conti di una concessione statale che apparteneva formalmente alla madre. L'accusa formulata nei suoi confronti concerneva l'appropriazione indebita delle somme incassate dai clienti scommettitori nel mese di giugno 2016. La cifra sottratta, pari a circa 80.000 euro, non era stata trasferita all'Amministrazione dei Monopoli di Stato.
La Suprema Corte ha sottolineato che un gestore di ricevitoria del lotto opera come incaricato di pubblico servizio, ai sensi dell'articolo 358 del codice penale, poiché la sua attività è soggetta alle norme di diritto pubblico ed è condotta sotto concessione statale. In tal modo, la corte ha riconosciuto l'effettiva disponibilità giuridica delle somme da parte dell'imputato e ha escluso la possibilità di riclassificare i fatti come appropriazione indebita o tentativo di peculato.
Le obiezioni sollevate riguardo al mancato riconoscimento dell'attenuante della particolare tenuità del danno (articolo 323-bis c.p.), a causa dell'ingente importo sottratto, sono state respinte. Anche la confisca, considerata obbligatoria secondo l'articolo 322-ter c.p., è stata confermata sino alla concorrenza del profitto del reato. Inoltre, la richiesta di messa alla prova è stata rigettata, in quanto non applicabile al delitto di peculato per il limite di pena previsto.
Sorprendentemente, la Cassazione ha accolto il motivo relativo alla sostituzione della pena detentiva con lavori di pubblica utilità. È emerso che la domanda per questo provvedimento era stata correttamente avanzata in appello, secondo quanto stabilito dal d.lgs. 150/2022 e dalle successive modifiche al codice di procedura penale in vigore dal 2024. Di conseguenza, la sentenza è stata annullata limitatamente alla sostituzione della pena detentiva, facendo spazio a un riesame da parte della corte d'appello competente.
Questo verdetto rivela l'evoluzione del sistema giudiziario italiano verso forme di pena alternative alla detenzione, riconoscendo l'importanza di un percorso riabilitativo utile e coerente con le esigenze della società contemporanea. L'apertura verso i lavori di pubblica utilità offre una visione più umana della giustizia, prevedendo che, pur di fronte a reati quali il peculato, sia possibile utilizzare la pena come strumento di reintegrazione. La sentenza contribuirà senza dubbio a discutere della funzione rieducativa della pena, una tematica centrale nel panorama giuridico attuale, sempre più orientata verso forme di giustizia riparativa e recupero sociale.