La recente pronuncia della Corte di Giustizia Tributaria di primo grado di Cosenza rappresenta una significativa svolta in ambito legale, accogliendo il ricorso di un contribuente contro l’Agenzia delle Accise, Dogane e Monopoli. La questione verteva sull’annullamento di un avviso di accertamento emesso relativamente a una presunta evasione fiscale legata al Prelievo Erariale Unico (PREU). L'oggetto del contendere era un apparecchio di gioco a vincita apparentemente non connesso alla rete statale, installato in un esercizio commerciale nel Vibonese.
In tribunale, il ricorrente ha contestato l’accusa, affermando di essere estraneo alla proprietà e gestione dell’apparecchio in questione. La difesa ha anche denunciato l’adozione anticipata dell’accertamento, violando i termini previsti dallo Statuto del Contribuente per la presentazione di osservazioni successive alla redazione del verbale di constatazione. Tra le motivazioni addotte, sono state sottolineate la mancanza di prove relative alla titolarità del bene e l'illegittimità del metodo di calcolo induttivo adottato per annualità precedenti al controllo fiscale.
Dal canto suo, l’Ufficio dell’agenzia ha difeso la legittimità dell’accertamento richiamandosi alla normativa vigente, in particolare la Legge di Stabilità 2015, che disciplina il contrasto al gioco illecito e le responsabilità associate ai titolari degli esercizi pubblici e ai proprietari delle macchine. L'Agenzia sosteneva che la proprietà dell’apparecchio fosse stata attribuita al ricorrente sulla base della dichiarazione resa dal marito della titolare del bar dove si è svolto il sequestro.
Tuttavia, la Corte di Cosenza ha accolto le argomentazioni del ricorrente, dichiarando assente qualsiasi prova concreta che dimostrasse il suo legame con l’apparecchio oggetto di controversia. La Corte ha infatti evidenziato come la dichiarazione di un terzo, nel caso specifico del marito della titolare dell’esercizio commerciale, non possa essere considerata una prova certa e incontrovertibile della proprietà. Il giudizio della Corte chiarisce inoltre che, in mancanza di documentazione contrattuale o altri elementi oggettivi, non si può configurare alcuna legittimazione passiva nei confronti di chi non ha partecipato all’ispezione e non è stato direttamente interessato dall’azione amministrativa. Tale mancanza di prove ha portato alla nullità dell'accertamento.
Un aspetto particolarmente rilevante nel verdetto è stato anche l’appello all’articolo 7 del d.lgs. 546/92, che sancisce l'onere della prova a carico dell’Ufficio nel contesto di un processo tributario. I giudici hanno sottolineato che tale onere non è stato rispettato dall’amministrazione, poiché non sono state fornite evidenze sufficienti a giustificare la richiesta creditoria avanzata.
Questa sentenza non solo rafforza la posizione dei contribuenti in situazioni simili, ma evidenzia anche l'importanza di un sistema giudiziario che tuteli i diritti dei cittadini e garantisca che le procedure di accertamento fiscale siano condotte con trasparenza e rigore. La decisione della Corte di Cosenza può essere vista come un promemoria dell'importanza di basare le pretese fiscali su prove solide e documentate, anziché su dichiarazioni non verificate.