Il
29 maggio 2025
, la
Corte di Giustizia Tributaria della Sicilia
ha emesso una
sentenza
di grande rilievo, annullando una serie di avvisi di accertamento emessi dall'
Agenzia delle Dogane e dei Monopoli (ADM)
e dall'
Agenzia delle Entrate
. Questi avvisi riguardavano imposte sul reddito, addizionali e IVA, per un totale che sfiorava i 700.000 euro. Il caso si è sviluppato dalla scoperta di totem internet in un negozio nella
provincia di Enna
, utilizzati per accedere a un portale di gioco online.
La decisione della Corte ha stabilito che i provvedimenti fiscali mancavano di sufficienti elementi probatori, invalidando così l'intero iter seguito dalle due agenzie. Già in precedenza, una sentenza aveva annullato l’avviso di imposta unica emesso dall'ADM, rafforzando le argomentazioni dell'avvocato
Marco Ripamonti
, che ha difeso efficacemente il contribuente.
Analizzando nel dettaglio le motivazioni della sentenza, la Corte ha evidenziato che gli avvisi di accertamento e i Processi Verbali di Contestazione (PVC) non erano supportati da prove decisive. In particolare, non era dimostrato che i
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rinvenuti fossero strumenti idonei a permettere vincite in denaro, né che vi fosse un collegamento attivo con il sito web
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. Inoltre, mancava la dimostrazione di un'organizzazione orchestrata dal titolare del negozio per operazioni illecite.
Il nucleo centrale della controversia ruota attorno all'onere della prova, su cui le agenzie fiscali hanno clamorosamente fallito. Questa mancanza ha comportato che tutte le accuse formulate si rivelassero inconsistenti, prive di una base di evidenza che giustificasse l'attività illegale sospettata.
Ribadendo l'insussistenza delle violazioni contestate, la Corte ha dichiarato infondati gli avvisi di accertamento. In particolare, questa decisione si è basata sulla mancanza di prove concrete che collegassero i dispositivi a vincite monetarie o che implicassero il proprietario del negozio come un possibile "dominus" di attività poco trasparenti o come semplice beneficiario di provvigioni.
Alla luce di queste osservazioni, la sentenza sottolinea che non è stata raggiunta la soglia probatoria necessaria per supportare le accuse di violazioni fiscali. Il quadro normativo si riferisce all'articolo 1, comma 646, lettera b) della legge del
23 dicembre 2014, n. 190
, del quale non si registrano qui inosservanze documentate.
Oltre all'annullamento degli avvisi, un ulteriore esito della sentenza è stata la condanna dell’ADM e dell’Agenzia delle Entrate al pagamento delle spese legali. Questa decisione rappresenta non solo una vittoria significativa per il contribuente coinvolto, ma mette in evidenza l'importanza fondamentale di condurre un'istruttoria solida e ben documentata nelle procedure di accertamento fiscale. In un contesto giuridico sempre più complesso e sfidante, emerge chiaramente la necessità per le autorità fiscali di basare le proprie accuse su evidenze concrete e inconfutabili, in modo da evitare l'annullamento delle proprie iniziative da parte delle istituzioni giudiziarie. Infine, l'esito del caso traccia una linea guida chiara per future controversie, definendo i confini entro i quali datori di lavoro, avvocati e funzionari fiscali devono operare per garantire equità e giustizia.
